Lo Spazio Vuoto
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"Vicini" di Pino Petruzzelli

con Sergio Raimondo, Gianni Oliveri, Livia Carli
Regia: Pino Petruzzelli
Produzione: Lo Spazio Vuoto

Tre storie vere, comiche, dolci, amare, tre storie di vita di persone che abitano la stessa casa,nostri possibili vicini.
Al primo piano troviamo Sauro: un ragazzo affetto da handicap mentale. Dolce e stralunato, capace di danzare in bilico sulla linea della vita come certi personaggi di Fellini, Sauro, passa di fiore in fiore, di esperienza in esperienza, di guaio in guaio con la leggerezza di una farfalla.
All’ultimo piano, nella mansarda, abitano due spiritelli. Uno di loro è il fantasma del poeta Alfonso Gatto. Li troviamo intenti a preparare, con tanto di champagne, pastiera napoletana e sfogliatelle, una strana festa di benvenuto. E’ una storia surreale, che ci porta nelle nostre case piene di ricordi legati a momenti importanti e da cui nessuno vorrebbe separarsi. Infine la cantina. Qui vive rinchiusa Amina, una giovane attrice algerina, scampata miracolosamente ad un attentato. La sua compagnia teatrale mise in scena uno spettacolo che non piacque ad un gruppo di terroristi che pensarono così di massacrare tutti gli elementi della compagnia. Solo Amina riuscì a salvarsi, trovando riparo in Italia da una zia che la nascose. Finì così per seppellirsi viva.
Tre differenti storie scritte e ispirate a persone realmente vissute.
Il monologo di Amina per esempio trae spunto da un incontro nel 1994 a Genova tra Pino Petruzzelli e un ragazzo algerino, Rachid, in occasione di una mostra fotografica contro il razzismo. Rachid passava di lì ed entrò. Era un attore scampato ad un attentato terroristico nel quale gli altri componenti della compagnia erano stati uccisi. Fuggito clandestinamente in Italia era stato nascosto nella cantina di una zia, rinchiuso per tre mesi in quel rifugio da lui chiamato tana. Era un inferno, e quello stesso pomeriggio in cui aveva incontrato Pino aveva deciso di emergere dal suo isolamento.
La storia di Alfonso si ispira al poeta Alfonso Gatto e alla sua storia d’amore con un’insegnante di teatro di Genova, Lea appunto; infine il racconto di Sauro si riallaccia ai fatti di Genova e alle terribili violenze durante il G8 rivissute da un ragazzo semplice che riesce nella sua ingenuità a cogliere il significato più profondo della vita.

Note dell’autore
Lo ammetto: quando viaggio mi soffermo poco dinanzi ai monumenti. Preferisco sedere al tavolino di un bar per cercare di conoscere la gente che vive in quella parte di mondo. Se mi trovo di fronte a un bell’edificio, non riesco a vedere altro che le persone che l’hanno costruito. Guardo un capitello e immagino i muratori e gli artigiani al lavoro. Li vedo uscire di casa al mattino e recarsi a lavorare: passo dopo passo, con il freddo e con il caldo. Altre volte, davanti a un monumento antico, immagino gli schiavi costretti a costruirlo: mattone dopo mattone, diritto negato dopo diritto negato.
Così, quando arrivo in un paese nuovo, cerco di entrare nelle vite delle persone che incontro. Faccio domande dettate dalla curiosità e dalla voglia di ascoltare, e loro iniziano a raccontare e a raccontarsi.
Nei miei viaggi non corro mai il rischio di finire ospite di serate mondane, perché prediligo le periferie, le strade poco battute dove sopravvivono gruppi di persone marginali. Cerco di vivere l’imprevisto. Mi fermo a parlare nelle corriere, nei bar, nelle piazze. Lì conosco i miei nuovi compagni di viaggio. Con il passare dei giorni, alla conoscenza subentra l’amicizia e le porte delle loro case si aprono. Mangiamo insieme e insieme facciamo un tratto di strada. Sempre insieme perdiamo del tempo. Lasciamo che le ore scorrano senza fretta. L’amicizia necessita di tempi lunghi e io cerco di essere come una bottiglia vuota che si lascia riempire. Prima di partire non leggo nulla sul paese che intendo visitare: voglio essere pulito come un foglio bianco e privo di idee precostituite. Ascolto.
Perché parto? Forse per leggere il mondo da una prospettiva diversa? Per sentirmi anch’io straniero? Per cercare affinità nella diversità? O forse per avere conferma che i confini sono solo un’invenzione dell’uomo?
Chissà, forse tutte queste cose insieme, o nessuna di esse.

Impressioni degli attori
Essere diretti da Pino Petruzzelli è stato per noi tre: Gianni, Sergio e Livia un’esperienza molto significativa e importante, che ci ha condotto ad un livello più profondo nel mestiere di attore, sia da un punto di vista professionale che umano.
Le prove sono incominciate molto presto, già nel mese di ottobre, con la memoria dei tre monologhi già pronta. L’intento è stato quello di lavorare così intensamente da riuscire a rivivere le storie, diventarne parte noi stessi, superando ogni sorta di recitazione e falsità, pur essendo il mestiere d’attore basato sulla finzione. Si è lavorato molto sulla parola e sui suoi significati, iniziando le prove in teatro per poi continuarle all’aria aperta nei mesi successivi. E’ stato molto stimolante provare i monologhi sulla spiaggia, in riva al mare, passeggiando sugli scogli o camminando in piena campagna, in ambienti sempre diversi , che ci hanno obbligato a cambiare continuamente, a confrontarci con atmosfere differenti, arrivando gradualmente ad assimilare i testi come parte integrante di noi stessi
Lentamente questi personaggi così lontani dalla nostra realtà e dall’esperienza del quotidiano si sono inseriti nelle nostre vite, il loro linguaggio è diventato il nostro.
Dopo mesi di prove all’aperto in condizioni atmosferiche spesso avverse si è ritornati in teatro per perfezionare il lavoro compiuto. Come pazienti artigiani abbiamo confezionato il nostro manufatto modellandolo e rifinendolo sempre meglio.
Si è lavorato con grande scrupolo sull'interpretazione per eliminare qualsiasi stereotipo o finzione e far emergere le tre storie nella loro verità; un lavoro rivolto al togliere, sottrarre, per raggiungere l'essenza e perseguire un tipo di teatro sempre più vero che non possa più prescindere dall'arte cinematografica.

Foto spettacolo
Recensione "La Stampa" - Recensione "DAMS"

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