Lo Spazio Vuoto
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"La Piramide"
di Raúl Damonte Botana, in arte Copi

La Regina Federica Siri
La Principessa Livia Carli
Il Topo Gianni Oliveri
Il Gesuita Luca D’Addino
L’Acquaiolo Vincenzo Russo
La Vacca Sacra e Il Turista: Iole Dibernardo - Amedeo Casella
del Laboratorio di recitazione de Lo Spazio Vuoto

“La Piramide” di Copi reinterpretata dagli attori del “Teatro Lo Spazio Vuoto” ovvero una fantastica favola che irride alla smania di potere degli esseri umani, alla necessità di non svincolarsi da un comportamento etologico di supremazia del più forte, all’attuale impossibilità di affermare una precisa identità, al Brechtiano principio per il quale la fame e l’esigenza di sopravvivenza fanno di ciascuno di noi una belva assetata di sangue. Un testo scritto in maniera assolutamente divertente e fantasiosa da un poeta omosessuale di origini di Diano Marina (il cognome Damonte deriva dal bisnonno nostro conterraneo), di nazionalità argentina con sangue Inca e vissuto gran parte della sua vita in Francia quale esule politico. Disegnatore, fumettista (si ricordino su Linus le strisce de La Donna seduta), drammaturgo, attore, personalità multiforme di pensiero anarchico e laico, miscredente irriverente nei confronti della umana ignoranza, leggero e immaginifico nel modo in cui solo i Latinoamericani sanno essere.

Trama
“La piramide” è una curiosa commedia nera, politica e corrosiva scritta da Copi nel 1975.L’azione si sviluppa in un’improbabile piramide Inca,dove vivono in autarchia una Regina cieca e sua figlia la Principessa. Ad esse si accompagnano un topo antropomorfo di razza spagnola,un gesuita ambiguo e libertino ultimo rappresentante di un clero catechizzatore, un acquaiolo spaccone ed una vacca sacra parlante. La pièce è una sorta di bazar o farsa storica che si ispira alla storia dell’America del sud attraverso le tradizioni ancestrali della Regina, pretessa quasi sciamanica che riscrive gli avvenimenti a suo piacere. La distruzione dell’impero Inca è assunta come metafora dell’eterna smania di potere e di avidità di ricchezza, in nome dei quali differenti civiltà si sono eliminate l’una dopo l’altra. Prima era la fame ad essere combattuta, poi i comfort, poi gli agi estremi, infine la noia. Copi utilizza tutta la sua ironia di umorista per delineare questa satira grottesca intrisa di paradosso e provocazione dove i personaggi si sbranano, muoiono e risuscitano in un rutilante vortice di parole. La Piramide, composta e rappresentata l’anno successivo la morte di Juan Peron, comporta per Copi un lento riavvicinamento agli orizzonti culturali, tematici e politici di un’Argentina perennemente in bilico tra riscatto del peronismo e ricatto dei militari e dei poteri forti.

Note di regia
Una regia corale per un allestimento multiforme imperniato su un testo complesso che al pari dei personaggi si trasforma continuamente, non permettendo mai un’interpretazione chiara e lineare. Portare in scena il teatro di Copi è come camminare sul bordo di un precipizio, col rischio continuo di scivolare: scene che si susseguono, personaggi privi di identità che mutano continuamente al mutare delle situazioni, congiure, alleanze, tradimenti in un immenso caleidoscopio roboante in cui esseri umani si confondono con animali, un Topo Parlante e una Vacca sacra, secondo uno spirito latino americano con un finto finale da melodramma alla Almodovar ed uno vero del tutto a sorpresa. Il teatro di Copi, evocando atmosfere surreali, giunge all’essenza del sentire contemporaneo, descrivendo un mondo di erranza, prepotenza e solitudine. Con l’acuta leggerezza di uno sguardo tragicamente comico, poiché Copi è anzitutto un poeta che sa ridere del mondo, dell’uomo e dei suoi drammi più atroci. Lo spettacolo si è sviluppato in ore di prove, letture, discussioni e confronti tra gli attori nel tentativo di far rivivere l’atmosfera spettrale della piramide, le smanie e le follie dei suoi abitanti condannati a ripetere, come in un girone infernale, continui e vorticosi giri di giostra.

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